A fine gennaio solitamente si tirano le somme di metà anno scolastico. A metà percorso molto è stato fatto ma la strada è ancora lunga, sia per incombenze burocratiche, sia per la progettazione didattica.
Questo è il quadro degli anni scolastici regolari. Quest’anno, però, è tutto diverso e tutto incerto. A fine gennaio tirare le somme di metà anno è difficile e procrastinare il futuro impossibile.
Zona arancione, zona rossa, rosso sbiadito: ormai conosciamo tutte le sfumature dei colori. La pandemia non lascia tranquillo nessun settore, tanto meno quello dell’istruzione.
Il pericolo dei contagi è dietro l’angolo. Se i più reputano le scuole sicure, non bisogna dimenticare che i contagi prima avvengono all’esterno e poi la scuola diventa ricettacolo di focolai.
Il problema è l’organizzazione dei trasporti e prima ancora l’inosservanza delle regole. A tutto ciò si aggiungono la mancanza di controlli e delle relative sanzioni. Inevitabile il confronto con il mese di marzo dello scorso anno, dove era difficilissimo trovare assembramenti e gente in giro. Oltre la sanzione amministrativa si rischiava anche la denuncia penale. Il Governo si è via via ammorbidito, preferendo non sanzionare più coloro che non rispettano i divieti. In verità non si è mai parlato né di sanzioni né di divieti nei vari Dpcm, segno di mancanza di organizzazione a livello sia centrale sia periferico, oltre che coraggio di intraprendere strade che non trovano consensi. Il consenso è fondamentale in politica.
La scuola, in primis, ha bisogno di certezze, di un’organizzazione efficiente che la maggior parte delle volte è demandata al buon senso dei dirigenti sui quali grava l’onore di garantire la sicurezza e la prosecuzione di una didattica efficiente sotto tutti i punti di vista. Gli insegnanti cercano di adottare tutte le strategie per coinvolgere e motivare i ragazzi, ma i miracoli sono tutt’altra cosa.
I problemi di connessione (frequenti), la mancanza o insufficienza di mezzi informatici da parte delle famiglie (la scuola non dispone di un magazzino, solo una dotazione modesta), le comunicazioni non sempre efficienti non rendono fluida la comunicazione già difficile di per sé.
I ragazzi reclamano la didattica in presenza perché è un’altra cosa: offre certezze, il confronto è più vero ed autentico, le emozioni sono impagabili, non filtrate, la comunicazione avviene in un contesto più genuino.
Tutti però, insegnanti e famiglie, concordano nel chiedere sicurezza. La fretta di tornare non deve farci dimenticare che esistono dei protocolli che devono essere applicati e le procedure attuate devono evitare il diffondersi dei contagi. Riaprire ed essere costretti ad una chiusura repentina sarebbe più traumatico di riaprire tra qualche mese, quando il Ministero della Salute garantirà condizioni di sicurezza adeguate.
Il buon senso deve essere il denominatore comune per tutti: prendendoci cura gli uni degli altri, affinché la riapertura sia un nuovo inizio per costruire persone mature e risposabili.