Prima della pandemia, anno 2019, il settore culturale e creativo europeo – come riportato in un articolo del settimanale italiano d’informazione L’Internazionale – occupava circa 7,6 milioni di persone, più del doppio dei settori delle telecomunicazioni e automobilistico messi insieme, e dal 2013 aveva generato 700mila nuovi posti di lavoro, pari a un aumento dell’occupazione del 10 per cento.

Nel 2020 il volume d’affari è sceso a 440 miliardi di euro, scrive il Guardian, citando lo studio commissionato alla azienda di audit Ernest & Young (Ey) dal Gruppo europeo delle società di autori e compositori (Gesac) e svolto nel perimetro geografico dell’Ue a 28, quindi compreso il Regno Unito, per quanto riguarda la pubblicità, l’architettura, l’audiovisivo, i libri, la musica, giornali e riviste, arti dello spettacolo, radio e video giochi.

Il coordinatore dello studio, Marc Lhermitte ha affermato che a causa della pandemia la cultura è stato il primo settore a sospendere la maggior parte delle sue attività, e probabilmente sarà l’ultimo a riprenderlo senza restrizioni. Da questa analisi scoraggiante abbiamo intervistato il giovane attore canicattinese Sebastiano Tinè, diplomatosi nel 2017 all’Accademia d’Arte del Dramma Antico (Istituto Nazionale del Dramma Antico), da qualche giorno le reti Mediaset trasmettono in onda uno spot pubblicitario con la presenza scenica di Sebastiano Tinè.

Abbiamo chiesto di illustrarci le sue emozioni vissute nel periodo della pandemia, cosa gli manca del senso artistico del termine, come vede il periodo post pandemia per il settore artistico e quale messaggio vuole trasmettere ai giovani che vogliono intraprendere gli studi di recitazione.

“Io rispetto ad altri colleghi– afferma Sebastiano Tinè- che stanno ancora aspettando di ricevere gli aiuti da parte dello Stato, in concomitanza della pandemia sto svolgendo altre tipologie di lavoro. Per quanto riguarda la pubblicità non è niente di chè, con tutto rispetto per chi fa spot pubblicitari, però dal punto di vista artistico non è quello che voglio o vogliamo fare chi ha intrapreso questo percorso ma ovviamente fa sempre comodo, per carità sono cose che vanno fatte e le svolgo con felicità. Vorrei soltanto sottolineare il fatto che, se da un lato faccio parte artisticamente degli attori, dall’altro da quando è iniziata questa pandemia ho colto la palla al balzo nel poter fare altre cose. Spero presto di tornare a fare 24 ore su 24 l’attore. La cosa che mi manca di più è proprio recitare. Leggere un copione insieme ad altri colleghi. Divertirmi nell’esplorare le varie possibilità di interpretazione. L’adrenalina di un provino. Frequentare i colleghi che sono diventati una seconda famiglia per me e confrontarci dal vivo. Mi manca Roma, anche se è un rapporto di amore e odio. Dall’inizio pandemia avrò perso almeno 10 voli già prenotati per Roma”.

“Una volta che si intraprende una strada artistica, – continua il giovane attore –  non riesci a tornare indietro. Non riuscirei ad immaginare una vita senza la recitazione. Nonostante i vari piani b,c,d,e,f,g,h che potrei crearmi per poter andare avanti anche senza teatro. Però allo stesso tempo, invidio molti attori che conosco. Alcuni di loro sono attori e basta. Intendo “dentro” nel più spirituale senso che la parola “attore” o meglio ancora “artista” possa avere. Hanno una forza e una costanza nel credere in quello che fanno che è davvero lodevole e che mi ispira sempre più. A volte è bene per me frequentarli perché sono del carburante per il mio stato d’animo. La cosa più difficile, soprattutto per noi siciliani, così a sud, così lontani, è proprio mantenere viva quella fiamma e quella fame che ci porta nonostante tutto a continuare a fare questo lavoro. Qui, anche per via della società (soprattutto quella siracusana) che quasi disconosce l’arte e in particolar modo il teatro( mi assumo tutta la responsabilità di questa affermazione); un giovane siciliano che non abbia una giusta fermezza e anche dei genitori poco propensi nell’appoggiare questo percorso, non ci sta niente a perdersi e a mollare tutto. Semplicemente perché qui vedi tutto “distante”. E comunque non parlo di misure fisiche.

A volte – incalza Tinè – sogno delle piccole Hollywood o delle piccole Broadway che potrebbero nascere qui in Sicilia. La speranza di spostare parte delle produzioni italiane direttamente qui in Sicilia. E non solo Teatro Greco o film sulla mafia. Quanto sarebbe bello far rivivere quel gioiello del teatro comunale in Ortigia. Ma riconosco che dare la colpa semplicemente alla politica è limitativo. Manca una culturale teatrale qui. Certo si potrebbe partire proprio dalla politica e dalle scuole per spingere i giovani ad interessarsi all’arte. Ma ci sono insegnanti che credono davvero all’arte? E’ tutto un circolo vizioso. Anzi, tutto il contrario. Non c’è niente. Ma non significa che le cose non possano cambiare. Personalmente non posso lamentarmi più di tanto. Sono cosciente che io stesso potrei fare di più, nei miei luoghi natii. La maggior parte delle persone che mi dice di essere stata al Teatro Greco a vedere un qualche spettacolo non mi sa dire (il giorno dopo) il titolo della rappresentazione. Non lo ricorda quasi nessuno. Cinquemila persone, quattromila sono smemorati. Quindi cosa sarebbe. Moda? Una moda tutta siracusana? Farsi una foto al Teatro greco e poi postarla su istagram? E’ la società che è sbagliata, è l’assenza di un libro nel nostro comodino, è questo dannato telefono che abbiamo in mano a rovinarci. Non so come andrà a finire”.

“Non so se questa pandemia- conclude Sebastiano Tinè– farà sprofondare l’arte ancora di più o per istinto di conservazione sarà tutto il contrario, entrando nelle nostre vite più forte che mai. Per quanto mi riguarda, cercherò sempre di riporre un mattoncino a favore dell’arte e far capire quanto l’arte sia importante ai miei due piccoli nipoti”.

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