La testimonianza “senza cedimenti e tiepidezze” nella vita di ogni giorno ha un rilievo straordinario nell’orientare i propri passi e nel segnare il cammino al quale fanno da robusto arginare valori e modelli positivi. E ciò vale anche (o soprattutto?) per i più giovani, apparentemente “immersi” in un universo nel quale la connessione tra smartphone sembra essere molto più salda di quella interpersonale.
Andrea Palmieri, 52 anni, romano di nascita ma siracusano – anzi, ortigiano – é uno dei magistrati di maggiore esperienza in servizio al Palazzo di Giustizia di Siracusa dove é arrivato oltre venti anni fa. Un lungo percorso nel Cammino Neocatecumenale, da Pubblico Ministero ha combattuto e denunciato, assieme ad altri colleghi, la rete di malaffare tristemente ribattezzata dalle cronache come “Sistema Siracusa”. Sposato, padre di due figli adolescenti, si definisce appassionato di sport “come luogo di educazione alla vita”. E sulla pandemia che da oltre un anno ha cambiato la nostra stessa quotidianità ha davvero pochi dubbi: quando saremo riusciti a metterci questa emergenza alle spalle “ne usciremo migliori rispetto a come la pandemia ci ha trovati”.
– Partendo dalla vicenda di Rosario Livatino, qual è oggi il valore dell’esempio e della testimonianza?
Prendo in prestito la meravigliosa sintesi di Rosario Livatino: “prima che credenti dobbiamo essere credibili”, che rimanda ad anelito di testimonianza che senza cedimenti o tiepidezze possa accompagnare ogni momento della vita privata e pubblica del cristiano. A quale testimonianza di fede sia chiamato il cristiano non ho dubbi: deve fare pubblica memoria di aver incontrato Dio nella propria vita ricevendo il dono di entrare da vincitore in ogni situazione di morte, anche quella, figurata, collegata alle sofferenze ed ai disappunti di ogni giorno. Ma soprattutto, ed a questo tengo molto, il Cristiano deve testimoniare la sua felicità che è direttamente collegata all’incontro con Dio ed alla prospettiva di eternità che ne è derivata: normalmente è felice chi è innamorato ed il cristiano, se lo è davvero, non può essere che innamorato di chi gli ha cambiato la vita! Pensando a questa felicità mi vengono in mente i Fioretti di San Francesco, ed il meraviglioso racconto di quando Frate Leone è costretto ad andare incontro ad una serie infinita di disavventure per apprezzare la “perfetta letizia”.
– Cosa dire a chi sostiene che oggi modelli e valori positivi siano merce relegata negli scaffali polverosi di un deposito che soprattutto i più giovani non frequentano?
I giovani sono ancora attratti da modelli e valori positivi: in un’epoca di forte “rumore” di sottofondo sono ancora sensibili alla natura rivoluzionaria di alcuni modelli. E non accettano ipocrisie o tiepidezze in chi si propone come testimone di valori: la radicalità, come quella dei martiri come Rosario Livatino e Giuseppe Impastato, può senza dubbio riuscire a sorprenderli.
– Impegno e responsabilità: come riempire di contenuti concreti questi concetti ed evitare che siano solo un vuoto esercizio retorico?
Mi piace sul punto ricordare il movente dell’omicidio di Rosario Livatino secondo la ricostruzione operata dalla Corte d’Assise che ne condannava gli assassini: “perseguiva le cosche mafiose impedendone l’attività criminale, laddove si sarebbe preteso un trattamento lassista, ciò una gestione giudiziaria se non compiacente, almeno, pur inconsapevolmente debole, che è poi quella non rara che ha consentito la proliferazione, il rafforzamento e l’espansione della mafia”. Per un magistrato questo è l’impegno: lavorare diuturnamente per rendere giustizia a chi è oppresso dalla violenza e privato dei suoi diritti, rifuggendo dalla tentazione dell’approccio superficiale o burocratico verso le vicende che si trova ad esaminare. Per il magistrato cristiano la responsabilità verso l’assetato di giustizia è moralmente superiore, almeno pari a quella del ricco Epulone che non comprende che si sta condannando all’inferno quando lascia alla porta il mendicante Lazzaro con il suo carico di sofferenza. Mi piace però evidenziare che ogni giudizio di condanna, anche il più severo, non possa mai rimanere disgiunto da esercizio di misericordia verso il colpevole.
– Rimanendo sul filo delle parole, ce n’è un’altra tanto invocata quanto sistematicamente calpestata: verità. Per alcuni è una parola-obiettivo, per altri una sorta di meta (concretamente) irraggiungibile. Per lei?
La verità per me è un atteggiamento di austerità dinanzi alla vicende della vita, una sorta di pulizia dagli orpelli inutili che annebbiano le nostre scelte. Quindi sicuramente un percorso non una meta. Quando le situazioni, anche professionali, impongono di comunicare (e scegliere) il Vangelo viene in aiuto con parole risolutive: “Ma sia il vostro parlare: Sì, sì; no, no; poiché il di più vien dal maligno”. 2
– Che senso ha oggi (se ne ha…) parlare di “eroismo della quotidianità”?
In un tempo di egocentrismo come il nostro ha ancora molto senso: è una vera sfida! Gli eroi quotidiani sono quelli che ogni giorno accettano la croce, piccola o grande, che Dio ha permesso si manifesti nella loro vita; e quelli che decidono di “morire” ogni giorno per l’altro, mettendosi a disposizione del prossimo, spesso sconosciuto. Penso a Giuseppe Agosta, scomparso la scorsa settimana, molto conosciuto a Siracusa, instancabile animatore della Comunità di San Martino di Tours e di tante azioni a favore degli ultimi e dei sofferenti, come la mensa dei poveri in Ortigia. Ha dedicato la sua vita a sposare la sofferenza degli altri.
– Falcone oltre trent’anni fa disse che “Si muore generalmente perché si è soli (…)” : oggi, nell’era della globalizzazione e della connessione perpetua, le cose sono cambiate?
Purtroppo si continua a rimanere soli ed a morire… internet e il wi-fi collegano i nostri dispositivi elettronici ma le connessioni che aiutano a sopravvivere sono quelle dell’empatia e della solidarietà, che la fretta del nostro tempo tende purtroppo a disgregare.
– Torniamo, in chiusura, dal punto di partenza: qual é, a suo avviso, il modello di magistrato interpretato da Livatino?
“Il modello incarnato dal Beato Livatino è quello di un magistrato rigoroso, riservato, umile, laborioso, disposto a sacrificare la vita, figuriamoci la carriera, per non rinunciare ai suoi ideali morali. Chi ha orecchi intenda…”