Titolo della settimana: C’eravamo tanto amati di Ettore Scola, 1974.
Il futuro è passato e non ce ne siamo neanche accorti ” dice con un pizzico di ironia e tanta amarezza Nicola Palumbo, interpretato da uno straordinario Stefano Satta Flores; in questa affermazione possiamo racchiudere il senso di un film epocale, una di quelle pellicole – siamo nel 1974 – che chiude un’era, e che chiusura! Irripetibile per il nostro cinema.
C’eravamo tanto amati, annunciato qualche settimana fa, non poteva mancare nella nostra piccola rubrica. Uno di quei film destinati a non invecchiare, che attraverso l’amicizia di tre personaggi nata durante la guerra arriva agli anni 70, attraverso il dopoguerra e gli anni del boom. Nicola appunto, intellettuale e cinefilo di Nocera Inferiore, Gianni-Gassman romano, che sposando la figlia di un palazzinaro ha tradito i propri ideali e Antonio-Manfredi che fa il portantino in un ospedale della capitale e finisce per sposarsi Luciana-Sandrelli, la donna di cui i tre sono da sempre innamorati. Si rincontrano in varie riprese rievocando speranze deluse, ideali traditi e rivoluzioni mancate. Il tutto descritto alla perfezione da uno Scola in stato di grazia insieme ad Age e Scarpelli che non sono da meno. C’eravamo tanto amati è il film che meglio di ogni altro descrive in maniera quasi antropologica il come eravamo di un paese, il nostro, che uscito dal disastro della guerra si accingeva a riprendere faticosamente la via per tornare a vivere. Rivedere oggi questo lungometraggio a distanza di quasi cinquant’anni ci rendiamo conto che non mostra affatto i segni del tempo, anzi a mio modesto avviso è addirittura migliorato in alcuni snodi e passaggi narrativi ed è di una attualità che fa impallidire il cinema italiano odierno.
Geniale anche lo sviluppo della storia completamente in flashback fra due scene identiche che aprono e chiudono il film, ma riprese da angolazioni diverse. E anche un film sul cinema, soprattutto neorealista, dove vediamo Fellini e Mastroianni sul set della Dolce vita, vediamo scene de l‘Eclisse di Antonioni, e non poteva mancare Ladri di biciclette, già recensito, di Vittorio De Sica a cui il film è dedicato e che morirà proprio nel 1974, citato nella famosa scena del cineforum a Nocera Inferiore: Nicola sugli scudi, e lo stesso Nicola parteciperà  a Lascia o raddoppia con domande sul capolavoro Desichiano. Oltre a queste tantissime le scene da ricordare e mandare a memoria, vi consiglio di guardare questo  film-gioiello e scoprire da voi con la scene che a seconda del periodo passano dal bianco e nero al colore e viceversa, a dimostrazione che il nostro cinema non aveva bisogno di effetti speciali sofisticati perché era speciale di suo.
Oltre ai tre protagonisti, magistrali le prove di Stefania Sandrelli, Aldo Fabrizi e Giovanna Ralli e poi Fellini, Mastroianni, Mike Bongiorno e il grande Vittorio nella parte di loro stessi. Sontuosa la colonna sonora di Armando Trovaioli condita da canti partigiani. Un film da conservare nello scaffale dei sogni e rivedere all’infinito per non dimenticare da dove veniamo, una delle ultime opere italiane amate in tutto il mondo? Soprattutto oltralpe dove rimase in programmazione per più di due anni e tutto questo mentre la commedia italiana si avvicina al tramonto, un tramonto naturale per mancanza di ricambio generazionale a tutti i livelli. Ettore Scola con Age e Scarpelli e un cast delle meraviglie riescono a tirare fuori al passo d’addio una pellicola che qualunque aggettivo gli si accosti rischia di diventare retorico. Secondo chi scrive il miglior Ettore Scola di sempre, dove lacrime e sorrisi si passano spesso il testimone, come il colore del film. Chi crede che la Grande bellezza sia un inno a Roma e alla vita si guardi questo film e poi ne parliamo. Buona estate e buona visione
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