Capitale italiana della cultura, non capitale italiana del turismo. Anche se è di tutta evidenza che se c’è proprio un segmento dello sviluppo turistico sul quale un territorio come quello di Siracusa debba investire con ostinata convinzione – e continuità – è proprio quello legato allo sterminato patrimonio artistico, archeologico, architettonico, paesaggistico e naturalistico del quale dispone.
Ma provare a tenere distinti i due ambiti – culturale e turistico – almeno in una fase iniziale del ragionamento può aiutarci a non finire fuori strada.
Da quando a luglio è stata formalizzata la manifestazione di interesse per la candidatura di Siracusa a Capitale italiana della cultura per il 2024 (il dossier è in elaborazione e andrà presentato entro il 19 ottobre prossimo) una delle critiche ricorrenti è stata: ma come pensiamo di poter ambire a questo riconoscimento se le periferie vivono una condizione di (perenne) abbandono, se il trasporto pubblico locale è inadeguato, se i residenti di Ortigia denunciano di vivere da assediati in casa, se la rete viaria cittadina in alcuni tratti ha la consistenza e la forma dell’emmenthal (e nemmeno di gran qualità), se la raccolta differenziata dei rifiuti procede a strappi, se appena scendi da un treno o da bus extraurbano non sai come muoverti perché l’intermodalità e i parcheggi-scambiatori continuano a rimanere obiettivi progettuali e non concrete realizzazioni? Chiunque si potrà trovare più o meno d’accordo su tutti o alcuni di questi punti anche se occorre riconoscere, per onestà intellettuale, che l’origine di questi mali è molto spesso antica, le radici affondano in altre epoche storiche, remote e recenti, che tuttavia ai nostri occhi appaiono comunque lontanissime vista l’enorme velocità con la quale oggi consumiamo tutto. A cominciare proprio dal nostro tempo al quale non diamo più il suo giusto (e dovuto) valore.
Ecco, dunque, che provare a mettere l’accento su quel che il titolo di Capitale italiana della cultura riconosce al territorio che se ne potrà fregiare non appare operazione leziosa o superflua. Partiamo da ciò che il bando del Ministero della cultura prevede all’articolo 2 dedicato agli “Obiettivi”:
1. L’iniziativa «Capitale italiana della cultura» ha quale obiettivo generale quello di sostenere, incoraggiare e valorizzare la capacità progettuale e attuativa delle città italiane nel campo della cultura, affinché venga recepito in maniera sempre più diffusa il valore della leva culturale per la coesione sociale, l’integrazione, la creatività, l’innovazione, la crescita, lo sviluppo economico e il benessere individuale e collettivo. 2. L’iniziativa «Capitale italiana della cultura», in linea con l’Azione UE «Capitali europee della cultura», si propone i seguenti obiettivi specifici: a) il miglioramento dell’offerta culturale, la crescita dell’inclusione sociale e il superamento del cultural divide; b) il rafforzamento della coesione e dell’inclusione sociali, nonché dello sviluppo della partecipazione pubblica; c) il rafforzamento degli attrattori culturali per lo sviluppo di flussi turistici, anche in termini di destagionalizzazione delle presenze; d) l’utilizzo delle nuove tecnologie, anche al fine del maggiore coinvolgimento delle giovani generazioni e del miglioramento dell’accessibilità; e) la promozione dell’innovazione e dell’imprenditorialità nei settori culturali e creativi; f) il conseguimento di risultati sostenibili nell’ambito dell’innovazione culturale; g) il perseguimento degli obiettivi fissati dall’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’ONU.
Dunque, l’obiettivo di fondo è quello di far emergere il valore della cultura come elemento-base per la coesione sociale, l’integrazione, la creatività, l’innovazione, la crescita, lo sviluppo economico e il benessere individuale e collettivo. Un’operazione, pertanto, in primo luogo di recupero della piena consapevolezza di quel che un territorio riesce a “raccontare”, di quel che riesce a far emergere della propria specificità, della propria stratificazione storica e artistica. La cultura come collante, come in dispensabile elemento di coesione e di integrazione.
Ed allora, messe così le cose, chiunque farà davvero ben poca fatica a riconoscere che Siracusa ha un racconto avvincente da poter narrare, ha una storia millenaria da poter raccontare, ha una quantità quasi innumerevole di testimonianze archeologiche e artistiche che questo racconto storico possono impreziosire e arricchire, ha una visione coerente tale da legare passato e futuro (si pensi all’elemento mare, praticamente ormai iconografico del concetto di integrazione) da poter proporre, ha figure grandissime e di straordinario talento (uno su tutti: Archimede) attorno alle quali intrecciare un tessuto di sicuro interesse declinando innovazione e ricerca.
Che tutto questo richieda anche un’organizzazione urbana degna di tal nome, efficiente e ben strutturata (nei diversi ambiti) è altrettanto evidente. Ma tutto ciò non esclusivamente in chiave di attrazione dei flussi turistici. Aspetto questo che sarà bene tenere presente per evitare pericolosi deragliamenti.
Molto importante sarà quel che verrà messo sul piatto e come questo piatto verrà poi presentato: il dossier di candidatura che si sta costruendo con il necessario supporto specialistico di Federculture (la rete nazionale di rappresentanza e affiancamento dei soggetti pubblici e privati operanti nei settori della cultura, del turismo e del tempo libero) e di Civita (struttura leader nella valorizzazione dei beni culturali) e con l’apertura alle diverse e numerose forze del territorio, resterà in ogni caso patrimonio di Siracusa. Il meccanismo azionato sta consentendo di raccogliere numerosi e differenti input: non tutti, alla fine, potranno magari risultati adeguati alla luce di quella necessaria coesione e organicità che la proposta di candidatura dovrà mantenere, ma non per questo saranno meno importanti. Ecco, questo metodo basato sull’ascolto può forse già rappresentare un primo importante risultato conseguito con la proposta di candidatura a Capitale italiana della cultura 2024. Superare logiche di campanile, andare oltre la sterile lamentazione e il pre-giudizio, mettere in campo progettualità concrete e concertate, rappresenta un “nuovo” metodo da utilizzare anche in altri settori della vita comune. Comunque andrà a finire il 15 marzo 2022, momento in cui avverrà la decisione finale, ci sarà una strada utile lungo la quale Siracusa potrà camminare.
(Cammino, edizione tipografica del 26 settembre 2021)