Sono rimasto un bel po’ a pensare – dopo la prima sensazione di istintiva soddisfazione che ho provato in nome di un malcelato (ma a mio avviso legittimo) spirito di categoria – nell’apprendere che l’Accademia di Svezia ha deciso quest’anno di assegnare il Premio Nobel per la pace a due giornalisti, Maria Ressa, filippina, e Dmitry Muratov, russo, “per i loro sforzi nel proteggere la libertà di espressione, condizione necessaria per la democrazia e una pace duratura”.

Confesso che dei due neo premi Nobel per la pace non ne avevo sentito parlare prima. Eppure, documentandomi un po’ (la rete quanto a quantità e velocità di documenti disponibili è una vera miniera, nella quale tuttavia occorre muoversi con la giusta cautela), ho potuto agevolmente constatare che Maria Ressa è stata tra i fondatori del sito giornalistico Rappler e che negli ultimi anni è stata molto critica nei confronti del presidente filippino Rodrigo Duterte e dei suoi metodi autoritari. Dmitry Andreyevich Muratov è invece direttore del giornale Novaya Gazeta, noto per avere in più occasioni criticato il presidente russo Vladimir Putin e per le numerose inchieste sui casi di corruzione nel paese.

Ma passato il primo momento non ho potuto fare a meno di pormi una domanda: ma se anche l’Accademia di Svezia ha sentito l’esigenza di insignire con il massimo riconoscimento di assoluto prestigio al quale si può ambire due giornalisti per il loro quotidiano lavoro svolto a protezione della libertà di espressione, considerata appunto “condizione necessaria per la democrazia e una pace duratura”, vuol dire che non stiamo proprio messi benissimo. Se su questo quotidiano impegno si deve anche accendere il potentissimo riflettore del Nobel vuol dire che di ombre da diradare ve ne sono. Eccome…

E allora ecco che mi sovviene un’altra domanda: ma un “pezzetto” (piccolo o grande che si voglia, ha davvero poca importanza) di questo premio riguarda anche il nostro Paese? Perché mi pongo questa domanda? A me piace immaginare che Maria Ressa e Dmitry Muratov non siano soltanto due persone di indubbio valore e spessore morale, due eccellenze del giornalismo che hanno sempre saputo tenere la schiena dritta davanti sia alle insidiose lusinghe sia alle odiose minacce del potere. Con loro, il Nobel per la pace va ad un modo preciso di intendere il giornalismo, fatto con rigore, con competenza, con autorevolezza, con trasparenza, rifuggendo da ogni inutile sensazionalismo o da una non meno pericolosa sottovalutazione dei fatti narrati, ricco di analisi e capace di mediare (nel senso letterale di stare in mezzo) tra realtà e racconto della stessa. Insomma, detto in una parola, questo Nobel per la pace a Ressa e Muratov mi piace intenderlo come un riconoscimento dato al buon giornalismo, tout court.

Ecco perché il Nobel per la pace assegnato a due giornalisti in questo preciso momento storico mi sembra che, anche in Italia (che occupa il 41.mo posto nella graduatoria degli Stati dove la libertà di stampa è sotto attacco stilata ogni anno da Reporters sans Frontieres), possa avere un peso maggiore nel momento in cui ci si trova a dover fare i conti con un’impennata di intimidazioni nei confronti dei cronisti: sono 27 quelli sotto scorta nel nostro Paese mentre nel periodo complicatissimo della pandemia si è registrato un incremento del 54% delle minacce ai giornalisti.

E allora, chiudendo, torno a quella domanda che mi sono posto: questo Nobel per la pace a due giornalisti impegnati in aree differenti del mondo ma egualmente difficili quanto al rapporto col potere (che, a onor del vero, praticamente ovunque sembra “allergico” a un serio giornalismo di approfondimento e di inchiesta) è un indiretto richiamo all’opinione pubblica mondiale a rimettere al centro questioni legate al cammino di pace assai più di quanto non possa sembrare a prima vista? Decisamente sì. E poi, quanto a competenza ed autorevolezza di chi ha assegnato il riconoscimento, vorrà dire qualcosa che l’Accademia di Svezia, che assegna ogni anno i premi Nobel, soltanto per quello dedicato alla Pace si riunisca in Norvegia, cioè nel Paese che da cinque anni a questa parte è considerato dal report di RSF lo Stato nel quale la libertà di stampa è tutelata e garantita in maniera più efficace…

[*] Ex Post (nel senso che volevo scrivere un post ma è venuto troppo lungo…)

Nella foto in evidenza – credito dalla rete, Ansa – l’altare per i giornalisti uccisi della Novaya Gazeta

Condividi: