“…può essere mai distante la sofferenza di altri popoli, di altre genti?”

Era una mattina di metà giugno inoltrato. Stavo in piedi, mio figlio Nicola poco più che neonato era nel passeggino, e guardavo con stupore quei 192 gradini e ripiani che si srotolavano davanti ai miei occhi. L’effetto, del quale sino a quel momento avevo solo sentito parlare e del quale avevo letto, era davvero sorprendente: dalla sommità di quei gradini non se ne vedeva nemmeno uno. Si scorgeva solo un susseguirsi di ripiani terrazzati, come se fossero uno di seguito all’altro. Effetto ottico radicalmente inverso a quello che si poteva cogliere dall’estremità inferiore della stessa scalinata: da lì si percepivano tutti i gradini mentre i grandi ripiani di raccordo “sparivano” alla vista.

Ma, soprattutto, trovarmi in quel luogo e in quelle condizioni, mi provocava un cortocircuito mentale che mi portò istintivamente ad arretrare di qualche passo ed a stringere vigorosamente la presa delle mie mani attorno alle impugnature della carrozzina dalla quale faceva capolino il faccino di Nicola. O meglio, quel che restava di visibile di quel visino stretto tra giubbottino prudentemente chiuso sino al mento per evitare brutti scherzi di qualche refolo di vento capriccioso e cappellino ben calcato sulla testa a proteggere dal sole che quando si faceva largo tra le nuvole picchiava con decisione.

Ero lì ma davanti ai miei occhi si dipanava la tragica sequenza di quella carrozzina che, perso il contatto con la mamma appena fucilata, scivolava inesorabilmente lungo quei 192 gradini (che in origine erano duecento) della scalinata con dentro un neonato gemente. Quella che era una delle scene madri del film muto “La corazzata Potemkin”, si materializzò nel mio inconscio all’improvviso, spiazzandomi. Per carità, non che avessi visto (e non l’ho fatto nemmeno in seguito) quel film che trattava della rivolta di Odessa durante la rivoluzione russa del 1905. Quel che mi era invece rimasto ben impressa in mente era l’urlo liberatorio di Paolo Villaggio-ragionier Ugo Fantozzi “La corazzata Kotiomkin è una cagata pazzesca”, seguito da 92 minuti di applausi, che riprendeva ne “Il secondo tragico Fantozzi” del 1976 proprio quella scena (per altro ricostruendola a Roma e storpiando il nome originario).

Questo personalissimo ricordo che ho di Odessa risale ormai a oltre trent’anni fa. Tappa di un tour sul Mar Nero che mi aveva portato tra l’altro anche a Yalta, in Crimea, a vistare i luoghi dove Roosvelt, Churchill e Stalin di fatto gettarono le basi per definire l’assetto post bellico dell’Europa e per dare vita a una nuova organizzazione mondiale, l’ONU. Ricordi flebili, a lungo rimasti quasi nel dimenticatoio, nemmeno corroborati da foto o filmati (che pure avevo realizzato) finiti chissà dove, che invece da qualche giorno a questa parte sono tornati ad essere vividi come forse mai mi era accaduto prima. A far da detonatore per questi miei ricordi la violenta offensiva lanciata dalla Russia sul territorio dell’Ucraina. Venti di guerra minacciati a lungo e poi diventati una tempesta di fuoco, di distruzione e di morte della quale ci sorprendiamo un po’ tutti. Anche se, in verità, dovremmo piuttosto sorprenderci di questo nostro esserci sorpresi: passo dopo passo quel che stava accadendo era da tempo sotto i nostri occhi. Distratti ovviamente da molto altro che accadeva più vicino a casa nostra. E questa guerra, che inizialmente poteva anche apparirci “distante” (ma può essere mai distante la sofferenza di altri popoli, di altre genti?) adesso rischia di essere assai più vicina a noi di quanto non sembri. Per non dire delle conseguenze anche sul piano strettamente economico che stiamo già distintamente avvertendo… Ma questa è altra questione.

Certo è che vedere in tv le immagini di sofferenze immani e atroci, quelle che solo la becera piccineria umana sa confezionare mettendo mano ad una guerra, provocano in chiunque sofferenza. Ancor di più quando sui nostri schermi scorrono immagini di edifici sventrati e fumanti come il grattacielo di Kiev; di colonne di persone che, zaino in spalla, provano a prendere posto su qualsiasi mezzo ancora circolante che possa portarli lontano dai bombardamenti; di occhioni sgranati di bambini impauriti e affamati che implorano pace; di mezzi corazzati di ogni tipo che solcano quelle stesse strade lungo le quali, solo sino a pochi giorni prima, circolavano solo auto e moto a scandire una quotidianità che oggi appare distante anni luce. E sono, invece, trascorsi solo pochi giorni.

In questa guerra, nel racconto di questa guerra, un ruolo molto importante lo stanno svolgendo il mondo dell’informazione e la “rete”. Da una parte un dispiegamento di inviati sul campo come da tempo non ne avevo personalmente memoria, dall’altra la grande potenzialità del web e del mondo dei social in particolare, che sta consentendo di far venire fuori dall’Ucraina tanto materiale che poi rimbalza, anche attraverso il sistema più convenzionale dei media, ovunque. Lo stesso non si può certo dire di ciò che avviene in Russia.

Così, in questa guerra combattuta anche sul fronte della lotta alla disinformazione, il ruolo del buon giornalismo diventa fondamentale. Naturalmente di fake news ne stanno già circolando in quantità e, come sempre accade, non di rado finiscono anche nel fare breccia nel sistema dei media più accreditati mandando a gambe per aria ogni straccio di verifica. Ecco perché qui mi piace richiamare un recente lavoro compiuto dal team di fact checker di Facta.news (https://facta.news/storie/2022/02/24/crisi-russia-ucraina-la-disinformazione-sul-conflitto-in-aggiornamento/) che monitorando costantemente web e tv a proposito dell’invasione dell’Ucraina ha individuato una serie di notizie false, di video e immagini fuori contesto, di notizie parziali e decontestualizzate fornendo puntualmente, per ciascuna di queste, articoli di approfondimento e analisi dei contenuti.   “Armi” indispensabili per non alimentare la spirale della disinformazione, per spezzare la catena del falso, per restituire oggettività al racconto di eventi tragici, per consentirci di sapere quel che sta realmente accadendo (almeno nei limiti di ciò che in questa fase storica è possibile verificare). L’elenco delle fake è già lungo e tra le vittime (i canali cioè attraverso i quali queste notizie falde sono state diffuse ed hanno iniziato a circolare) non ci sono solo piccoli blog ma anche colossi come Twitter, Facebook, Telegram, sino al Tg2 della Rai che ha mandato in onda immagini del videogioco war thunder illustrandole come “una pioggia di missili” caduta sull’Ucraina!

Una trappola, quella della disinformazione, che – come ha raccontato Repubblica.it – non ha risparmiato nemmeno l’ambasciatore ucraino negli Stati Uniti, Volodymyr Yelchenko, che ha pubblicato un video in cui si vedono delle esplosioni dietro dei palazzi. “Mariupol – città ucraina sulla costa settentrionale del Mar d’Azov – adesso”, ha scritto Yelchenko su Twitter. Ma il video era già stato pubblicato il 29 gennaio da un profilo su TikTok – social network cinese di condivisione video – chiamato “Kiryshkkanew” che condivide clip di attacchi militari ed esplosioni.

[*] Ex Post (nel senso che volevo scrivere un post ma è venuto troppo lungo…)

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