Il rettore del Santuario Aurelio Russo sul disagio giovanile dopo le violenze in Ortigia

Lo scenario delle festività pasquali in piazza Pancali, nel cuore di Ortigia non è stato segnato da rintocchi di campane ma da suon di mazze per la maxi rissa avvenuta con l’arresto di cinque persone. Sembra che gli indagati gestirebbero servizi di trasporto per i turisti.

Sarebbero sorti dei dissapori tra loro, forse per questioni concorrenziali che valuteranno gli inquirenti. Momenti di panico per i passanti, con danneggiamenti alle auto, scene di violenza come in un film di Farwest, tutto sotto agli occhi increduli dei cittadini e famiglie. Uno scenario pessimo. Purtroppo le risse si stanno espandendo a macchia di leopardo in tutta la città.

Recentemente intollerabili e reiterati atti di violenza sulle persone, e non solo, hanno indotto il Questore di Siracusa a disporre la chiusura di un frequentato locale della movida siracusana per garantire il ripristino della legalità. Nei due anni precedenti, il locale è stato scenario di numerosi episodi di violenza che hanno determinato l’intervento delle forze dell’ordine.

Abbiamo voluto intervistare il rettore del Santuario, don Aurelio Russo, per un approfondimento sui fatti violenti accaduti per Pasqua in Ortigia, cercando di analizzare il concetto della nonviolenza e lanciare un messaggio affinché si possa sensibilizzare alla formazione educativa del bene alla pace.

 

1- C’è oggi più o meno violenza? È la domanda che si è posto Papa Francesco nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2017, scrivendo: “Non è facile sapere se il mondo attualmente sia più o meno violento di quanto lo fosse ieri, né se i moderni mezzi di comunicazione ci rendano più consapevoli della violenza o più assuefatti ad essa”.

Pace, povertà, giustizia, misericordia e nonviolenza sono argomenti cari a Papa Francesco. Nello specifico, la domanda del Papa pone interrogativi inquietanti: ci accorgiamo o ignoriamo che il linguaggio, i modi, i toni, i giochi, le competizioni stanno diventando sempre più veicoli di violenza e di degrado? Siamo continuamente “bombardati” da notizie che riportano episodi di violenza: guerra, violenza cittadina, linguaggi e giochi violenti sono scene all’ordine del giorno, che influiscono negativamente sul modo di pensare e di agire. C’è il grande rischio dell’assuefazione, dell’abitudine di fronte a fatti di grande o piccola violenza che accadono anche nella nostra città, a cui non riusciamo a dare una spiegazione. La violenza, in qualsiasi forma si manifesta, è sempre una sconfitta per tutti, non solo per chi la subisce o la commette.

2- La “nonviolenza” si definisce come valore, è una scelta etica, che si traduce in azioni e comportamenti, finalizzati al raggiungimento di obiettivi di giustizia sociale. In che modo si può educare alla nonviolenza?

La “nonviolenza” non si può ridurre al semplice ripudio della guerra. La nonviolenza si coniuga con termini come tolleranza, accoglienza, docilità, accettazione dell’altro e dei suoi limiti.

Oggi è necessaria una vera e propria conversione delle emozioni nel rispetto dell’altro e nell’attenzione costante alla persona. Una società meno violenta si costruisce soprattutto ricompattando le forze sane della città, della famiglia e delle agenzie educative. La violenza è una via da debellare in ogni forma in cui si manifesta, perché la violenza è sempre la via sbagliata. La nonviolenza nasce dall’impegno da parte di tutta la collettività, che adotta uno stile di vita non aggressivo e benevolo nei confronti dell’altro. Gesù dice di più, delineando come necessaria la via del perdono e della misericordia.

3- Educare alla nonviolenza in un contesto segnato dalla violenza. Come realizzare una specifica e diretta educazione alla non violenza?

Educare alla nonviolenza non è un optional, ma una necessità, se non si vuole arrivare alla guerra totale dell’uno contro l’altro, del far west della giustizia fai da te. È, però, urgente un percorso collettivo oltre che individuale, attraverso un progetto comune, un disegno civile, integrato nelle città e nei quartieri. Non di rado, purtroppo, si sente parlare di bullismo e di prepotenza. Gesù, morendo in Croce, non risponde alla violenza con la violenza, ma interrompe la catena dell’odio e del male, dall’alto della croce perdona i suoi uccisori, insegna una via nuova che vince contro la logica del più prepotente, di chi presenta più muscoli o ha più armi. Il Vangelo di Gesù, morto e risorto, è la testimonianza più grande che deve animare le scelte di chi si dice cristiano. Chi ama Gesù rigetta la guerra e non può giustificare qualsiasi forma di violenza fisica, verbale o mediatica, grande o piccola che sia. Anche una sana e autentica civiltà laica non può dare spazio ad alcuna ritorsione o prepotenza.

4- In che modo la parola e l’azione della Chiesa può seminare nel quotidiano a non essere litigiosi e violenti?

Lo scorso Venerdì Santo, Papa Francesco ha voluto che, durante la via Crucis del Colosseo, due donne portassero la Croce di Gesù. Albina e Irina, due donne di nazionalità russa ed ucraina, si sono abbracciate, tenendo insieme la Croce durante la Via Crucis al Colosseo. Queste due donne hanno testimoniato con il loro sguardo di dolore il NO a ogni forma di violenza e di guerra. La stazione della crocifissione di Gesù, oggi, è la croce dei popoli martoriati dalla guerra. Gesù che muore in croce e non risponde con la violenza è la chiara manifestazione di Dio contro il male e la violenza. Nessuna religione può imputare a Dio motivazioni di guerre fratricide. La Chiesa testimonia questa fratellanza anche a costo di non essere capita. Chi è per la guerra non è solo contro l’umanità, ma è anche contro Dio.

5- Spesso la violenza è dettata dalla presenza e soprattutto dall’assenza dei genitori nel ruolo dell’educazione dei figli. I figli, i ragazzi ripetono lo stesso atteggiamento visto dai genitori e dagli adulti. Il bullismo e il cyberbullismo nel web sono il chiaro segnale di atti di violenza verbale che possono passare inosservati e far pensare che sia giusto poter scrivere, offendere, pubblicare violenza. In che modo si può interagire con le figure genitoriali affinché si possano aiutare i ragazzi a maturare sentimenti di rispetto degli e di rifiuto di ogni forma di violenza?

La responsabilità della qualità di vita e dell’etica delle nuove generazioni è responsabilità di tutti: Chiesa e Società, Famiglia e Scuole, Adulti e Giovani. I fatti di violenza accaduti in Ortigia, le rappresaglie, fisiche e virtuali, il bullismo di bande di giovani sono un chiaro segnale che qualcosa abbiamo sbagliato e che stiamo andando nella direzione sbagliata. Da una parte celebriamo giornate contro la Shoah e la discriminazione sociale e, poi, dall’altra ogni giorno permettiamo offese a chi ha un diverso colore della pelle, a chi fa scelte diverse da noi. Si fanno proclami contro la violenza e, nello stesso tempo, non riusciamo a difendere i più fragili dagli attacchi vergognosi di bulli piccoli e grandi. Anche i termini utilizzati nei social diventano sempre più degradanti e vergognosi. C’è da rimboccarsi le maniche, non voltandosi dall’altra parte, ma mettendosi in ginocchio per chiedere perdono al Signore e chiedere a Lui che insegni la via della mitezza e della pace, dell’umiltà e della concordia, nelle famiglie, nelle scuole, negli istituti educativi e nella nostra Città. Può sembrare un’utopia, ma se sapremo dare il giusto valore alle piccole cose, nell’intelligenza della carità, potremo invertire la direzione dal male al bene, dalla violenza alla pace. Questo è un importante servizio della carità creativa, di cui ha parlato Papa Francesco nel 50mo anniversario dell’Istituzione della Caritas.

A questo proposito mi piace raccontare una storiella educativa di Bruno Ferrero dal titolo “Morto o Vivo?”:

Un giorno d’estate, il nipotino di un famoso scienziato, si presentò al nonno. Nella mano, che teneva nascosta dietro la schiena, il ragazzino stringeva un uccellino che aveva preso nella voliera del giardino.

Con gli occhi sprizzanti di maliziosa furbizia chiese al nonno: «Il canarino che ho nella mia mano è morto o vivo?».

«Morto», rispose il saggio.

Il ragazzo aprì la mano e ridendo lasciò scappare l’uccellino che prese immediatamente il volo.

«Hai sbagliato!» rise.

Se il nonno avesse risposto: «Vivo», il ragazzo avrebbe stretto il pugno e soffocato l’uccellino.
Il saggio guardò il nipotino e disse: «Vedi, la risposta era nella tua mano!».
La morte o la vita eterna sono nelle nostre mani.

Come a dire: anche le scelte più piccole e semplici che oggi facciamo determineranno il nostro destino eterno di oggi e di domani.

  • Nostra intervista pubblicata sul numero tipografico di Cammino, 06 maggio 2022
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