Un giovane ispano-americano è accusato di parricidio, 12 giurati sono chiamati, in un torrido pomeriggio d’estate per decidere sulla sua colpevolezza e la condanna alla pena di morte. Le prove sembrano non lasciare il minimo dubbio, in più molti dei giurati vorrebbe liquidare la pratica in poco tempo per poter tornare il prima possibile a casa. Soltanto uno di loro il giurato numero 8 convinto che vi siano dei seri dubbi inizia a inseminare negli altri un ragionevole dubbio, chiedendo quantomeno una discussione, visto che in gioco vi è una vita umana. Siamo in pieni anni 50, sono anni caldi negli States per quanto riguarda la discriminazione razziale, quando arriva come una bomba questo film di Sidney Lumet, qui all’esordio, scelto direttamente dallo sceneggiatore Reginald Rose e dal produttore e protagonista Henry Fonda. Pellicola di impianto teatrale, girato in un unico ambiente, la stanza dei giurati. In un film parlato e claustrofobico come questo, il ritmo e il montaggio assumono un’importanza fondamentale e Carl Lerner riesce nel miracolo e posso dire da appassionato che non ci sono scene particolari da menzionare, se non l’intero film, da mandare a memoria.
La parola ai giurati è un manifesto contro il razzismo e ancora oggi 65 anni dopo ci dice che il confronto verbale, anche se duro e drammatico, come nella pellicola, è uno dei mezzi miglio per superare ogni barriera mentale. La fotografia di Boris Kaufman ci fa percepire la sensazione di caldo e sudore dei 12, guidati in maniera magistrale da Henry Fonda e Lee J Cobb.
Dal 2007 è conservato nella biblioteca del Congresso USA, Orso d’oro a Berlino. Ebbe la sfortuna di uscire lo stesso anno di Il ponte sul fiume Kwai che fece incetta di Oscar, ma vi assicuro che La parola ai giurati non ha niente da invidiare a questo e altri film pluridecorati. Buona visione