Già nel Neolitico, agli albori della civiltà agraria, nella fertile Valle del Giordano, l’uomo coltivava cereali e legumi dando così origine alle cucine che, millenni dopo, avremmo identificato come kasher e hahal, ossia la cucina ebraica e la cucina musulmana. Tipiche preparazioni della prima sono, ad esempio, il cuscussù, l’hummus, i falaffel, la mejara, i sarma, lo shislik. Nell’altra troviamo, ad esempio, il kuskus, l’hummus, i falafel, la mujaddara, i waraq dawal e il sikh kebab. Al di là dei nomi diversi, si tratta, per l’una e l’altra tavola, di couscous con verdure e carne ovina o bovina, di purè di ceci, di polpettine di ceci e fave, di riso e lenticchie, di involtini di riso e agnello in foglie di vite, di spiedini di carne e ortaggi… E se volessimo aggiungere al menù qualcosa di dolce, potremmo ricorrere alla sicilianissima cubbaita, sì, proprio il nostro torrone di mandorle e sesamo che ha origine in quelle culture gastronomiche.

Se è vero, come Feuerbach insegna, che “l’uomo è ciò che mangia” in quanto il cibo è l’elemento primario attraverso il quale una società si riconosce e si esprime culturalmente, come anche il celebre antropologo Claude Lévi-Strauss ha sostenuto nel suo fondamentale “Il crudo e il cotto”, allora la circostanza che ebrei e palestinesi mangino lo stesso cibo evidenzia le comuni radici del popolo ebraico e del popolo palestinese. Oltre il credo religioso e aldilà delle appartenenze politiche, è proprio la comune identità gastronomica a rendere fratelli questi due popoli martoriati da decenni di guerra fratricida. Una guerra che, oggi come forse mai prima d’ora, rischia di estendersi ben oltre il Medio Oriente con conseguenze che possiamo solo temere ma non siamo in grado nemmeno di immaginare.

Assistiamo, impotenti, a quotidiani massacri, dividendoci, in modo errato e, a volte, in mala fede, in tifoserie a difesa delle ragioni dell’uno o dell’altro popolo. Ma non sono popoli diversi, in realtà sono lo stesso popolo. In realtà siamo lo stesso popolo perché anche le nostre di radici affondano in quella mezzaluna fertile che ha dato sapore e sapere alla civiltà mediterranea ed europea.

Un antico proverbio recita “ccù avi u sali conza a minestra”… Noi che abbiamo sale, abbiamo il dovere di ricordare quotidianamente a noi stessi, ai nostri governanti, ai nostri rappresentanti politici che non si può e non si deve scegliere tra Israele e Palestina ma adoperarsi, in ogni modo, perché israeliani e palestinesi possano riconoscersi e riconciliarsi come fratelli. Fratelli che, a turno ed entrambi, possono aver ricoperto il ruolo di Caino o di Abele, ma nascono, sono e sempre saranno fratelli. Che debbono sedere in pace alla stessa mensa.

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