Sentendolo parlare così, seguirono Gesù

Il Vangelo della Messa di questa domenica – la seconda del tempo ordinario nell’anno B – esordisce così: «In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’Agnello di Dio!”. E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù» (cf Gv 1,35-37).

Il quarto evangelista ricorda che, nel giorno precedente questo episodio, lo stesso Battista, «vedendo Gesù venire verso di lui, disse: “Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!» (Gv 1,29). Dopo di che, Giovanni dà testimonianza su Gesù riferendo la rivelazione divina avvenuta durante il battesimo nel fiume Giordano.

Giovanni Battista si conferma così quel grande profeta – e ben più che profeta – del quale Gesù dirà che «tra i nati da donna non è sorto uno più grande» (Mt 11,11). La grandezza di Giovanni si manifesta, prima di tutto, nella finezza della sua anima contemplativa e mistica. Quest’anima si rivela tutta anche nelle espressioni del Vangelo appena citate: «vedendo Gesù venire verso di lui», il santo precursore rimane fino al giorno successivo «fissando lo sguardo su Gesù».

Qualcosa lo incanta, lo rapisce, cattura tutta la sua attenzione, senza che null’altro possa distrarlo o distoglierlo anche solo momentaneamente: lo sguardo di Giovanni resta sempre focalizzato solo su Gesù, i suoi occhi lo seguono costantemente, la sua vista lo scorge da lontano quando si avvicina a lui, e la visione interiore gli consente di ammirare i cieli aperti e la manifestazione di Dio.

Perciò Giovanni riesce a cogliere profeticamente la realtà più nascosta e più autentica di Cristo, e avverte la necessità di comunicarlo ai suoi discepoli, lasciandoli allontanare da sé senza gelosia, purché vadano a seguire Gesù.

Il Battista dà loro una definizione di Cristo in grado di conquistarli in modo immediato e travolgente alla sua sequela: «l’Agnello di Dio». Egli riprende un’immagine suggestiva e già molto nota a chi aveva familiarità con le Sacre Scritture ebraiche: «Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca» (Is 53,7).

Si tratta di un versetto dell’ultimo dei celebri quattro Carmi del Servo del Signore, contenuti nella seconda parte del libro di Isaia. Questo cantico descrive un Servo giusto e innocente, eletto e inviato da Dio, che patisce espiando i peccati del popolo e stornando da esso il castigo meritato dalle sue colpe: «uomo dei dolori che ben conosce il soffrire» (Is 53,3), «si è caricato delle nostre sofferenze e si è addossato i nostri dolori» (Is 53,4), «è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,5).

Tutto ciò è richiamato dall’espressione «Agnello di Dio»: il Battista, da vero contemplativo, intravvede Gesù in controluce già come colui che attirerà su di sé le conseguenze dei peccati dell’umanità, per redimerla con la sua croce, abbracciata per amore nostro.

Ma l’orizzonte di tale espressione va necessariamente esteso al compimento definitivo di tutto il mistero riservato al Cristo, Servo sofferente destinato a un trono glorioso ed eterno: «L’Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione […] A Colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli»» (Ap 5,12.13); «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello» (Ap 7,10).

Con la prontezza dei discepoli di Giovanni, anche i veri cristiani di oggi seguono Gesù senza esitazioni, poiché «l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi» (Ap 7,17).

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