Si svolgeranno domani  nella chiesa dei frati Cappuccini di Siracusa, alle ore 10, i funerali dell’avv. Ezechia Paolo Reale.

Riproponiamo una sua intervista del 1 marzo 2021, pubblicata sul numero cartaceo di Cammino. Pensiamo sia un modo adeguato per ricordarne la poliedrica figura oltre le meritorie iniziative di cui si sta parlando in questi giorni  assieme agli  attestati di stima sia di semplici cittadini che di varie istituzioni che hanno conosciuto la sua opera.

La direzione e la redazione di Cammino esprimono sentite condoglianze alla moglie, ai figli, ai familiari.

Reale: “I pieni poteri? Non esistono, neanche in emergenza”

di Giuseppe Matarazzo

Dal governo dell’emergenza e dei “pieni poteri” al governo dei “migliori”, in un quadro istituzionale e politico sempre più fragile, orfani di autentici leader, con partiti svuotati di senso e di idee. Il risultato? Una democrazia compromessa, da praticare a distanza. La pandemia ha fatto emergere tutte le contraddizioni di un sistema che appare al collasso. Ne parliamo con l’avvocato Paolo Ezechia Reale (ben al di là del suo ruolo politico cittadino e candidato a sindaco in una controversa elezione amministrativa dagli importanti strascichi giudiziari): fine giurista, ideatore e responsabile del Siracusa International Institute for Criminal Justice and Human Rights, come membro del Comitato scientifico della Fondazione Einaudi è stato fra i primi in Italia a sollevare dubbi sulla legittimità dei poteri emergenziali in tempo di pandemia e sui Dpcm dell’ex presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.

Avvocato Reale, come sta la nostra democrazia?

Churchill diceva che la democrazia “non è un buon metodo di governo, ma non ne conosco uno migliore”. Nel tempo non sono mancate critiche a questo metodo. Basta leggere il libello dell’anonimo ateniese, intitolato “La democrazia come violenza” per i tipi di Sellerio, una quarantina di pagine ampiamente esaustive di quella che è stata la critica dell’intellighenzia aristocratica del tempo al metodo democratico. Ma una volta che si è scelto il metodo democratico, e io sono pienamente convinto della bontà di questa scelta, bisogna seguirne le regole e accettare anche le influenze negative che comporta. Non c’è quindi una mediazione possibile  tra democrazia e pieni poteri,  fra governo degli eletti e quello degli illuminati o dei migliori.

In democrazia è il popolo che sceglie…

Diciamo che nella democrazia c’è una finzione: che tutti coloro che sono eletti dal popolo sono i rappresentanti del popolo e quindi il miglior governo possibile nasce da questa rappresentanza. Non si può prescindere da questo. Principio che non si può mettere in discussione con giochi di palazzo. E non c’è “stato di emergenza” che possa giustificare la perdita delle regole della democrazia e ribaltare il rapporto governo-popolo, governanti-governati.

L’emergenza non giustificava e non giustifica provvedimenti come i Dpcm su pandemia e lockdown?

Sono stati atti chiaramente fuori dall’ordine costituzionale.

Ma com’è stato possibile questo abuso?

Perché stiamo perdendo in maniera evidente la sensibilità per i diritti e per le regole democratiche. Siamo nel vortice dell’efficientismo: si pensa che tutto ciò che è utile sia possibile e legittimo. Purtroppo non è così. Ci sono voluti secoli e spargimenti di sangue per arrivare alla conquista di diritti e libertà fondamentali. Se calpestiamo queste regole, non ci saranno soldi e recovery plan sufficienti a garantire uno sviluppo  armonico e sostenibile. Prima si tutelano i diritti fondamentali, dopo arriva l’economia. In questo periodo storico invece l’economia ha avuto il sopravvento sui diritti fondamentali. E sta diventando normale tutto ciò che è il portato normale delle dittature.

Siamo a rischio “regime”?

Anche le migliori rivoluzioni possono finire male. Della rivoluzione francese noi ricordiamo solo la parte bella, dimenticando che i giacobini, quelli che inneggiavano “Liberté, égalité, fraternité”, in pochissimi anni la trasformarono in terrore, uno dei periodi più atroci della storia francese. Erano esponenti di un movimento popolare di reazione alle azioni ingiuste della monarchia e divennero più ingiusti della monarchia.

Al teatro greco nel 2017 sono andate in scena “Le Rane” di Aristofane. Dioniso, il dio del teatro, vuole riportare in vita Euripide per risolvere il decadimento culturale e politico dell’Atene del 405 a.C. C’era la necessità di richiamare un vate dall’Ade. Ora la politica ha dovuto ripiegare sul “migliore” fuori dai partiti. È la fine della politica?

Una scelta che porta a un governo è sempre politica, quindi non possiamo dire questo. C’è semmai un problema nei partiti che non hanno più la capacità di rappresentare coerentemente le scelte dei propri elettori e di essere portatori di idee. Per questo vengono trattati come numeri utili per sostenere governi che non hanno legittimazione popolare. E non avendo legittimazione popolare è giusto scegliere l’uomo migliore. Solo che in democrazia, come ho detto prima, non funziona così. Questo dovrebbe valere nei concorsi pubblici, per diventare magistrato, direttore generale dei ministeri, funzionario in Bankitalia. In politica si sceglie chi ha più seguito elettorale. Che non è per forza il migliore. Quindi è sì una scelta politica, ma ancora una volta fortemente antidemocratica.

Vedere insieme il M5s, la Lega, Forza Italia e il Pd insieme sembra proprio una commedia, non solo greca…

Nella Prima Repubblica i governi cambiavano nella stessa legislatura, ma nel perimetro di una maggioranza chiara, consolidata e omogenea nei contenuti. Quando votavi Dc, sapevi quello che rappresentava. Io ho sempre votato liberare e radicale e sapevo cosa significava. Lo stesso valeva per i comunisti e il Movimento Sociale. Nel momento in cui i partiti si sono disfatti e si sono formate sigle ad personam, contenitori non di idee e identità ma di convenienze e appartenenze opportunistiche, allora non servono a niente.  Se la maggioranza porta avanti un tema divisivo come l’aborto e io sono contrario non posso stare in una coalizione che lo sostiene. Se il mio partito è garantista sulla giustizia non posso stare al governo con un manettaro. Se tutti finiscono invece nello stesso calderone, siamo nel caos e si tradisce il mandato popolare. Senza contare che la necessità di mantenere la leadership e garantirsi l’esistente comporta che le seconde file debbano essere leggermente più scarse del leader per non oscurarlo… E così le terze, e poi le quarte. Con il risultato che il livello della classe dirigente si è abbassato in maniera imbarazzante. A tutti i livelli e in molti ambiti, non solo politici.

Come si fa a invertire la rotta?

C’è stato un momento in cui quella che una volta era considerata la cosiddetta intellighenzia, la classe con una istruzione superiore, è stata espulsa dal sistema, considerata una “casta” che ha tradito la società che l’ha formata e li ha resi agiati. Oggi la nuova classe più istruita e che ha una posizione sociale di riguardo si guarda bene dall’infilarsi in una situazione politica del genere dove ha tutto da perdere e nulla da guadagnare. Questo però è un atto di grande viltà che non è giustificabile, soprattutto in un momento di crisi. Penso che chi ha una posizione anche di libertà economica che gli permette di essere libero di esercitare questo servizio e non dipendere dalla politica dovrebbe impegnarsi e non arrendersi a questo scempio delle regole e del senso delle istituzioni.

Ma c’è spazio, in un Parlamento di nominati, con segretari di partito che decidono la formazione su liste bloccate?

Lo capisco, ci sono deputati siracusani che non conosco in volto. Ma lo spazio si può trovare. C’è. Bisogna provarci.

Come?

L’unico modo è di impegnarsi di persona. In democrazia non c’è altro modo. Impegnarsi e andare a votare. Non è tollerabile avere come primo partito quello dell’astensione.

Insisto, da dove si comincia?

Costruire consenso dal basso, partendo anche dalle piccole realtà.  Con formazioni indipendenti che hanno seguito. Così anche chi “detiene” un partito deve confrontarsi con chi ha un consenso nella società civile e può risultare determinante.

Lei dirige un istituto giuridico internazionale sui diritti umani, organizza i processi teatrali della stagione dell’Inda. Anche in un quadro così desolante e per le sue vicende politiche, crede ancora nella giustizia e nella democrazia?

Continuo a crederci profondamente, come continuo a credere nella democrazia rappresentativa parlamentare nonostante lo scempio che molti rappresentanti ne fanno. Credere nell’istituzione è l’unico modo per garantire e mantenere la libertà e la democrazia. Nel contempo lotto perché quella istituzione sia occupata da persone competenti, imparziali e moralmente non contestabili. Ma non con una selezione intellettuale, di palazzo, con la cosiddetta scelta dei migliori come sostengono alcuni, soprattutto a sinistra. No. Contano le idee  e il consenso. Il miglior governo possibile arriva dal voto dei cittadini. Chi ha l’idea prevalente ha il diritto di governare e di perseguirla. E se non è la mia, devo accettarlo.  In democrazia si ragiona così.

 

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