Clint Eastwood a 94 anni è ancora al cinema con Giurato numero 2,
mentre True crime compie 25 anni
Hollywood è in coma profondo: supereroi di plastica, gladiatori in CGI, una tristezza. A chi tocca dare la scossa? Ma al vecchio Clint, che a 94 anni torna per la 52ª volta in sala con “Giurato numero 2”, un legal thriller classico, cinema allo stato puro. E noi, dopo un quarto di secolo esatto, andiamo a riscoprire e omaggiare “Fino a prova contraria – True Crime”, considerato, a torto, un Clint minore.
Può anche esserlo se rapportato ad altri film del periodo, come “I ponti di Madison County” o “Un mondo perfetto”. Tuttavia, al netto di questi titoli e confrontato con quello che ci viene proposto oggi, non c’è storia. Partendo da uno spunto trito e ritrito – il condannato a morte per un delitto che non ha commesso – Clint dimostra ancora una volta come il suo cinema sia di un’altra dimensione: ricco di sfumature, di personaggi non banali e di dialoghi che lasciano il segno. Memorabili, ad esempio, quelli tra James Woods (Alan Mann, il redattore capo) e Steve Everett (interpretato da Eastwood), il giornalista chiamato a intervistare il condannato in sostituzione di una collega deceduta.
Da qui parte una storia senza soluzione di continuità, una riflessione sull’abominio della pena di morte e sul sempre più frequente fallimento delle istituzioni americane, che Clint ha il coraggio di criticare apertamente. Sempre etichettato come uomo di destra, con “True Crime” smentisce tutti in modo clamoroso, così come farà con “Gran Torino” (contro il razzismo) e con “Lettere da Iwo Jima” (contro le guerre). Eastwood si libera di Callaghan, ma non del personaggio del giustiziere, stavolta civile.
Nonostante la trama semplice e un finale già intuibile a metà film, si rimane rapiti dalla storia, tra indagini, vita privata e personaggi memorabili: da Clint a James Woods, da Isaiah Washington (figlio di Denzel, il ragazzo condannato) a Diane Venora. Eastwood esplora anche i rapporti padre-figlio. Il risultato è un film completo, con una regia brillante che non sbaglia un’inquadratura.
“”In “True Crime” ho parlato della pena di morte e di quanto, in molti casi recenti, la giustizia abbia preso un abbaglio. Se qualcuno vuole accettarla, deve sapere che spesso si condannano degli innocenti, che le prove sono manipolate e che i testimoni possono essere falsi.”“ Così parlò Clint a Venezia 2000.
Con “Giurato numero 2” non smette di porci domande, perché Clint è uno dei pochi registi di oggi capaci di trasformare un film di genere – in questo caso giudiziario – nello specchio, molte volte buio, dell’America contemporanea, senza avere la pretesa di impartire lezioni morali. Film come “True Crime” e ora “Giurato numero 2” sono necessari. Grazie, Clint, e buona visione.