Negli anni Cinquanta del secolo scorso – quando i telefoni cellulari non esistevano – la scoperta del petrolio a Ragusa e l’arrivo degli impianti petrolchimici nella rada di Augusta fecero gridare al “miracolo”.
Oggi, però, l’unico evento prodigioso riconosciuto unanimemente è quello coevo della lacrimazione di Maria nel 1953, nell’umile abitazione siracusana di via degli Orti.
Le sorti del polo petrolchimico del Sud-Est siciliano, leader in Europa, sono sempre state messe in discussione da continue crisi di mercato e problemi ambientali (la controversa vicenda del depuratore consortile Ias è solo l’ultima questione in ordine di tempo).
Stavolta, però, sembra che ci si trovi di fronte a una svolta o al capolinea di un’idea di sviluppo economico mai pienamente realizzata.
Gli annunci, quasi simultanei, di Eni-Versalis sull’avvio della riconversione industriale degli impianti di Siracusa e Ragusa, e della sudafricana Sasol riguardo le decine di esuberi nel proprio stabilimento di Augusta, sono stati visti da alcuni come fulmini a ciel sereno, da altri come l’epilogo di una storia già scritta.
Da mesi, esponenti politici di ogni colore e rappresentanti sindacali si mobilitano sul territorio. Sindaci, deputati e senatori cercano di sbrogliare la matassa e, dopo una prima assenza, il ministro Urso ha recentemente annunciato una serie di tavoli di discussione.
Tuttavia, le ancora non definite frontiere delle politiche “green” – Trump docet – non fanno che amplificare le incertezze su una controversia che incide in modo significativo sull’economia e sull’occupazione siracusana.
Come i marinai siracusani sanno, pur non avendo letto Seneca: “Nessun vento è favorevole a chi non conosce la meta”.