Cari lettori di Cammino, vi auguro un felice Nuovo Anno e cerco di immaginare le vostre vite, i vostri pensieri in questo primo giorno dell’anno. Guardare all’anno che è passato con la gratitudine verso chi ci è stato vicino mi sembra un buon modo per iniziare il nuovo anno. Io vorrei qui ringraziare innanzitutto il nostro ex-direttore, Padre Giuseppe Lombardo, una persona che riusciva ad arrivare all’anima di chi lo ha conosciuto. Sarebbe bello se ognuno di noi potesse fare un esercizio di ricordare una situazione dell’anno passato in cui sente di ringraziare qualcuno.

Ma il primo dell’anno è anche un giorno in cui si guarda al futuro, all’anno che inizia, e spesso abbiamo il cuore carico di dolore e paure, o ci sentiamo sbandati dal senso di impotenza per ciò che vediamo intorno. Vorrei portarvi un pensiero su un evento di cronaca che ci ha sconvolti profondamente qualche giorno fa. Mi riferisco alla morte di Gaia e Camilla e a Pietro.

Loro giovanissime, prese dall’incuranza del rischio dei loro 16 anni, attraversano una strada larga e trafficata, di notte, all’uscita dalla discoteca; lui pure giovanissimo, 20 anni, conduce un’auto potente dopo avere bevuto e forse anche assunto sostanze, senza rendersi conto dell’arma micidiale che ha in mano. Loro perdono la vita sul colpo, lui perde la pace per il resto dei suoi anni.

Se potessimo tornare indietro, alla moviola, dove fermeremmo l’immagine per potere modificare qualcosa? Le madri delle due ragazze probabilmente non le farebbero uscire da sole, le accompagnerebbero, ma sarebbe risolutivo? il padre del ragazzo che farebbe? Non gli darebbe un bolide da guidare? Forse dobbiamo andare indietro ancora un po’ con la moviola, e arrivare a qualche anno fa, quando questi tre ragazzi si sono affacciati all’adolescenza, e hanno verosimilmente trovato facili distrazioni piuttosto che sguardi attenti e amorevoli di qualcuno più grande che potesse funzionare da “muro di protezione” per la loro naturale voglia di vedere fino a che punto si può arrivare. Forse lì si potrebbe fare di più: i genitori potrebbero monitorare chi sta intorno ai figli nel tempo libero, la società potrebbe sostenere e favorire la creazione di luoghi adatti agli adolescenti. Quando la società si renderà conto che deve investire sul bene più grande che ha, cioè i giovani, senza aspettarsi ingenuamente che crescano da soli? Oggi è molto difficile essere adolescenti. Sembrerebbe che hanno tutto: i genitori sono così comprensivi che gli consentono di realizzare tutto ciò che vogliono. E invece non è così: i ragazzi di oggi devono stare a galla tutti i giorni senza un solido senso di sicurezza. Nati nell’era digitale, conoscono quel linguaggio meglio di chiunque altro, ma si ritrovano soli quando hanno paura; mamma e papà spesso non sopportano le loro fragilità o hanno i loro casini. Quando si ritrovano davanti ad un compito scolastico e non capiscono cosa leggono nel libro, quando i compagni anziché essere amici diventano bulli che li minacciano, devono sopravvivere o soccombere, e non hanno l’aiuto degli adulti. È tutto molto difficile e non ha senso dare colpe. In realtà, anche i genitori, non solo i ragazzi, sono lasciati soli in questa giungla che li porta all’alienazione e perfino alla morte. Più che parlare di colpe, parliamo di responsabilità, e assumiamoci quella che possiamo prendere cominciando da noi stessi. Quale può essere il nostro contributo, nella nostra città, per dare luoghi significativi ai giovani e ai genitori?

Ecco, se penso che questo nuovo anno può vedere nascere tante iniziative, a vario livello, per i genitori e i figli, posso respirare pensando alle vite di Gaia, Camilla e di Pietro.

 

(*) Rubrica a cura di Margherita Spagnuolo Lobb

Scuola di Specializzazione in Psicoterapia

Istituto di Gestalt HCC Italy

Centro Clinico e di Ricerca

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