Rafael Alberti (1902-1999) è uno tra i più interessanti poeti spagnoli, molto conosciuto in Italia per via dei suoi lunghi trascorsi nella nostra nazione durante l’esilio cui fu costretto durante il regime di Franco.

Una poetica che qualcuno ha definito “ammaliante” e che ha iniziato i suoi trascorsi in patria con la raccolta “Mariniero in terra” che gli valse il prestigioso Premio Nacional de Poesia nel 1927.

Il suo impegno politico, a partire dal 1931, cambia la sua vita. Partecipa alla guerra civile contro i ribelli “Falangisti” di Francisco Franco e sarà tra quelli che, come detto sopra, vivrà l’esperienza dell’esilio.

In esilio frequentò intellettuali progressisti e si legò ad un gruppo di critici letterari romani come Mauro, Delogu e Silori. Degni di nota anche i suoi incontri con il gruppo musicale cileno Inti-Illimani, che musicò anche alcuni dei suoi testi.

Rientrò in Spagna solo nel 1977 e nel 1983 gli fu assegnato il Premio Cervantes, massimo riconoscimento letterario delle lettere ispaniche.

Nella sua poesia Alberti ha cantato la condizione del poeta esiliato perché coinvolto nell’impegno politico-civile. L’opera di questo poeta è testimonianza di un senso virile del vivere, della stretta connessione tra poesia e vita, i suoi versi sono impregnati di una luminosa “terrestrità”. Egli avverte luci e colori, terre e fiori, distese marine con una straordinaria intensità sensoriale che si traduce in felicità espressiva.

Tra le altre, la poesia “Han sradicato un albero” ha attirato la nostra attenzione.

Un testo che ci ricorda l’enorme valore di un albero, accarezzato dagli elementi naturali e viventi, con una chiara vocazione di cielo ed un alto futuro di stelle. Stupendi versi che fanno ancor più risaltare lo strazio del pianto che segue la perdita del suo palpitante verde. E qui il poeta, puro, di soppiatto, rende a quest’essere l’immenso valore della sua essenza nel suo dolcissimo canto.

Han sradicato un albero. Ancora stamani.

il vento, il sole, gli uccelli

l’accarezzavano benignamente. Era

felice e giovane, candido ed eretto,

con una chiara vocazione di cielo

e un alto futuro di stelle.

Stasera giace come un bimbo

esiliato dalla sua culla, spezzate

le tenere gambe, affondato

il capo, sparso per terra e triste,

disfatto di foglie

e in pianto ancora verde, in pianto.

Questa notte uscirò – quando nessuno

potrà vedere, quando sarò solo –

a chiudergli gli occhi ed a cantargli

quella canzone che stamani il vento

passando sussurrava.

 

Immagine in evidenza: Albero di Gelso Van Gogh

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