Trecentotrenta anni or sono il grande “tirribiliu” sconvolse la Sicilia orientale: decine e decine di migliaia di persone persero la vita fra le macerie di intere città.

Le maggiori scosse si registrarono intorno alle ore 13.00 del 9 gennaio 1693 e le ore 21.00 del successivo giorno 11: la prima con epicentro fra Melilli e Sortino e la seconda con epicentro Capomulini, cioè fra Catania e Siracusa, sempre mediamente a circa 20 km di profondità e magnitudo 7,7.

Quest’anno, tuttavia, la ricorrenza non sta mobilitando grandi eventi per rievocarne la memoria; pare che un mondo disorientato da pandemia e guerra putiniana stia riparametrando lentamente le prospettive per il futuro rielaborando significativamente usi e caratteri.

Eppure c’è molto da imparare dalla reale resilienza che classe dirigente e popolazioni seppero dimostrare nel ricostruire gli abitati al meglio: testimone d’eccezione il barocco del Val di Noto riconosciuto dall’Unesco patrimonio dell’Umanità, su cui si fonda buona fetta del successo turistico dei territori rinati dalle macerie di 330 anni fa.

Oggi, invece, dopo lo stop-covid, cosa abbiamo davvero da ricostruire? Cosa sta maturando nella coscienza collettiva per rilanciare concretamente il sistema socio-economico e quindi lasciare una proficua eredità alle future generazioni? Si tratta solamente di spendere i soldi del Pnrr?

  • Nella foto in evidenza la Chiesa Madre di Sortino, ricostruita dopo il terremoto del 1693 nel nuovo sito dell’abitato.
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