“Figlio mio, la tua mamma è la Madonna;

chiamala che ti aiuta” (Suor Chiara, 11 settembre 1932)

 

Quando si racconta la storia di Adelaide Di Mauro (suor Chiara), spesso si tende a sottacere sul suo ruolo di madre e se l’argomento viene trattato lo si affronta spesso in maniera superficiale se non, addirittura, di sfuggita, quasi temendo le reazioni o le opinioni degli ascoltatori. E, in verità, non poche volte si è notata diffidenza con manifestazione di giudizi negativi e per il narratore, il tentativo di “giustificare”quelle scelte difficili, diventa quasi un cercarne delle attenuanti.

Eppure, a mio avviso, quella rinuncia al figlio, così decisa e radicale è un punto di forza e non di debolezza della spiritualità di suor Chiara comprensibile solo analizzando con attenzione e, documenti alla mano, gli eventi che si verificarono quando la giovane Adelaide rimase vedova all’età di 29 anni e con il piccolo  Alfredo che aveva appena sei anni.

Le estasi furono tra i primi carismi ricevuti da suor Chiara e nel periodo di vedovanza si accentuarono. Il bambino, che spesso era presente in quei momenti, riferiva ai parenti: «Mamma mia è una santa: prega molto, tiene le mani giunte, gli occhi in alto» descrivendo così probabilmente un momento di estasi della madre.  Adelaide si rese presto conto di non riuscire ad assolvere il suo ruolo di madre come avrebbe dovuto e voluto; durante quei frequenti momenti in cui veniva rapita il bambino rimaneva incustodito e spesso, nonostante i suoi sforzi, lei non riusciva a non cadere in quel sonno profondo che la metteva in relazione con il divino. Chiese allora consiglio e conforto a p. Samuele Cultrera, suo confessore del tempo, che le consigliò di entrare in clausura. Adelaide si trasferì dunque a Messina per prendere contatti con il convento di clarisse che, danneggiato dal terremoto del 1908, tardava a ricostituirsi. Adelaide portò con sé il  figlio chiedendo ospitalità per sé e per il bambino presso gli istituti religiosi gestiti dal canonico Annibale Di Francia, oggi santo. In questa scelta vi fu probabilmente il tentativo di assecondare la sua vocazione e, al contempo, poter rimanere vicina ad Alfredo e prendersene cura. Alfredo era l’unico figlio rimastole dopo la morte delle due femminucce e non è difficile immaginare l’amore che lei nutriva per il bambino. Nonostante fossero ospiti in due istituti diversi, Adelaide era sempre a conoscenza della vita di Alfredo e cercò di non recidere il profondo legame d’amore materno. Suor Gesualda Fiorentino che raccolse una sua confidenza scrisse: «[…] mi disse ch’era vedova e voleva farsi suora. Ma se lei ha quest’intenzione – le dissi – deve rinunciare al figlio. Io rinunzio al figlio – essa rispose – purché non si abbia a perdere e lo chiudano in un orfanotrofio». E, infatti, quando il bambino manifestò il suo disagio, lei decise di riprenderlo con sé affidandolo alla sorella Virginia e al cognato prima di fare il suo ingresso in monastero. Questa sua scelta, certamente sofferta, forse “discutibile”, fu l’unica strada che Adelaide ritenne percorribile.

Oggi, più di allora, questa sua decisione divide l’opinione pubblica; in molti si chiedono come una madre possa rinunciare all’unico figlio rimasto. Occorre allora ripercorrere a ritroso quei momenti e contestualizzarli nell’epoca storica in cui si svolsero. Per comprendere oggi quella faticosa scelta occorre innanzitutto ricordare che Adelaide rimase vedova nel 1919, in un periodo, quello del dopoguerra, in cui la scelta di indirizzare i figli presso istituti religiosi che potessero garantirne l’istruzione e l’educazione era spesso una scelta forzata ma necessaria.

Adelaide ebbe cura del figlio, tanto che quando capì che il bambino non stava bene in istituto lo riprese prima con sé e poi lo affidò alla sorella. Da quel momento cercò sempre di contenere il suo sentimento affettivo in modo che esso non superasse quello per Dio. Amò il figlio come solo una madre santa può fare – lo considerava figlio di Dio prima che suo – mortificando e soffocando il trasporto materno; si distaccò generosamente da lui attuando così con pienezza l’insegnamento di Gesù:

«Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me» (Mt 10,37).

L’ultimo incontro con Alfredo avvenne l’11 settembre del 1932, due giorni prima che lei morisse. Adelaide, già suora, a causa delle sue gravi condizioni di salute, aveva dato disposizione di non ammettere nessuno nella sua stanza. Il figlio si recò a farle visita ma l’assistente non lo volle fare entrare; il ragazzo allora, approfittò di una finestra socchiusa e riuscì a intrufolarsi nella camera della mamma: «La commozione fu sicuramente grande per entrambi e suor Chiara tra le lacrime gli disse: “Figlio mio, la tua mamma è la Madonna; chiamala che ti aiuta” e detto questo lo benedisse e lo congedò».

Non è semplice comprendere le scelte che suor Chiara compì per abbracciare totalmente la vita religiosa; ma è proprio nella grande rinuncia al suo ruolo di madre, figlia, sorella, che risiede la grande virtù di questa Serva di Dio che fu comprensiva, altruista e caritatevole con tutti ma molto rigorosa con se stessa tanto da non concedersi nulla su questa terra, nemmeno la gioia della maternità ; gioia ricompensata dalla possibilità di vivere pienamente seguendo Gesù.

Adelaide, accettò l’imposizione dei genitori al matrimonio e le sofferenze per quell’unione non desiderata. Ha provato la gioia della maternità ma anche il dolore per la perdita di 2 dei suoi 3 figli; ha sperimentato anche la sofferenza nel rinunciare a vivere il ruolo di madre per dedicare tutta la sua vita a Gesù e poter così essere anche lei (sull’esempio di Maria) madre di tutti quelli che nella sofferenza le si rivolgono colmi di fiducia e di speranza nel Signore. Eppure quel distacco dal suo amato figlio le costò dolore. Suor Costantina, raccontando un episodio verificatosi mentre suor Chiara era in estasi, affermò

«[…]noi suore rimanemmo sveglie tutta la notte per vederla e ascoltarla, poiché sembrò che le fosse apparsa la Madonna col Bambino Gesù; ed essa, ansiosa, con gli occhi e le mani rivolte al cielo, esclamava: – Mammina mia, dammelo un pochino! … dammelo un pochino! … – e parve che la Madonna glielo porgesse; e allora l’estatica si liquefaceva di amore, si metteva con le braccia presso il petto, quasi che tenesse il Bambinello e sfogava i suoi affetti! Questo fatto si ripeté tre volte quella notte».

Basterebbe leggere queste poche righe per comprendere di quanto amore e sensibilità materna fosse ricolma suor Chiara. Chissà quante volte nel tenere in braccio il Bambinello lei avrà immaginato di abbracciare amorevolmente suo figlio; probabilmente nelle frasi d’amore che ripeteva in quelle circostanze, durante l’estasi, c’era anche tutto quello che avrebbe voluto dire al suo bambino, a quel figlio dal quale si era allontanata, ripetendo a se stessa: «ritroverò mio figlio nel Cuore di Gesù».

Eppure, come abbiamo letto, questa sua scelta radicale fu motivo di aspre critiche da parte di chi le era ostile e, ancora oggi, è oggetto di discussione e di divisione.

Eppure Dio ha sacrificato il suo unigenito Figlio per amore e per la salvezza di tutti gli uomini. Maria ha rinunciato al suo ruolo di madre per fare la volontà di Dio e farsi Mamma di tutti (Cf Mc 3,33-35). Anche Abramo era pronto a uccidere il suo unico figlio se questa fosse stata la richiesta di Dio. L’amore cresce nel sacrificio e matura nella rinuncia. Gesù si è fatto uomo per fare la volontà del Padre; seguendo il suo esempio tanti uomini e donne, a partire dagli Apostoli, hanno fatto grandi rinunce per vivere alla Sua sequela.

Suor Chiara ha seguito il comando di Gesù che chiede di essere amato sopra ogni cosa … sopra tutto e tutti. Il suo grande gesto d’amore e di rinuncia non è facile da comprendere. La difficoltà sta forse nella nostra condizione umana che spesso non ci consente di affidarci completamente a Dio, sicuri del suo amore; la croce, i sacrifici, le rinunce, ci fanno paura. Fino a che punto riusciremmo a rinunciare per amore di Dio? Fin dove riusciremmo a seguirlo? Rileggiamo allora la vita e le rinunce di suor Chiara con occhi nuovi consapevoli del fatto che, seppure oggi non sia facile comprendere pienamente le sue scelte di vita, non possiamo vanificare il valore della rinuncia fatta in virtù di un Amore più grande.

 

Nota: Alfredo morì a Torino all’età di 31 anni il 25 Aprile 1945 durante un conflitto a fuoco tra fascisti e partigiani

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