Durante il ventennio fascista, tristissima pagina della nostra storia, fu perseguita una politica di autarchia alimentare che oltre a produrre esilaranti forzature linguistiche quali, ad esempio, l’uso del termine “gonfiato” in loco del più proprio, ma francese, soufflé, indusse nuove abitudini alimentari condizionate dalla scelta di limitare le importazioni. Come noto, in quel periodo, l’Italia colonizzò alcune aree dell’Africa, in particolare Etiopia, Eritrea e Somalia; in tali aree è comune l’uso del carcadè, infuso ottenuto dai fiori essiccati di Hibiscus sabdariffa. Poiché il tè non veniva più importato, alle italiane e agli italiani fu “suggerito” di sostituirlo con il carcadè che fu ribattezzato “il tè degli italiani”.

Il nuovo governo di destra ha modificato la dizione di “Ministero Politiche Agricole, Alimentari e Forestali” in “Ministero delle’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste”.

La FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per il cibo e l’agricoltura”, ha indicato la definizione ufficiale della locuzione “sovranità alimentare”: “il diritto dei popoli, delle comunità e dei Paesi di definire le proprie politiche agricole, del lavoro, della pesca, del cibo e della terra che siano appropriate sul piano ecologico, sociale, economico e culturale alla loro realtà unica. Esso comprende il vero diritto al cibo e a produrre cibo, il che significa che tutti hanno il diritto a un cibo sano, nutriente e culturalmente appropriato, alle risorse per produrlo e alla capacità di mantenere se stessi e le loro società”.

Conseguentemente, chi voglia perseguire politiche di sovranità alimentare non può prescindere da concetti quali “salario minimo”, affinché sia garantita un’adeguata retribuzione ai lavoratori del cibo, “sostegno sociale”, affinché chi è privo di mezzi di sussistenza abbia comunque accesso alle risorse alimentari, o “progressività fiscale”, affinché la ricchezza non sia concentrata ma distribuita il più equamente possibile. I provvedimenti proposti nella finanziaria non sembrano coerenti con il concetto di “sovranità alimentare” e, soprattutto, con lo spirito che emerge dalla definizione della FAO. Provvedimenti quali l’estensione della flat tax o il condono fiscale, la cui copertura finanziaria deriva dalla riduzione degli aumenti perequativi delle pensioni o la riduzione del reddito di cittadinanza, combinati con i dati di organizzazioni quali la Caritas, delle Mense Francescane, o del Banco Alimentare, che quotidianamente sfamano un sempre maggiore numero di persone, indurrebbero a ritenere che forse sia stata fatta confusione tra “sovranità alimentare” che è un’idea inclusiva, etica, rispettosa di ambiente e comunità e “sovranismo alimentare” che, al contrario, è un concetto che richiama derive autarchiche impraticabili nel mondo contemporaneo in cui tutti, in realtà, facciamo parte di una comunità globale. Sarebbe stato più coerente, ad esempio, una proposta che coniugasse il reinserimento lavorativo dei percettori di reddito di cittadinanza con il recupero dei troppi terreni incolti siciliani in cui impiantare grano tenero, mais e girasole a tutela della sicurezza alimentare del Paese messa in discussione dal conflitto fra la Russia e l’Ucraina.

Personalmente amo molto il carcadè ma amo anche il tè e, soprattutto, amo il diritto di scegliere. Ma il diritto di scegliere non può essere un privilegio di pochi perché, diversamente, non è più diritto.

E tutti, come dice la FAO,” hanno il diritto a un cibo sano, nutriente e culturalmente appropriato, alle risorse per produrlo e alla capacità di mantenere se stessi”.

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